Il quarto appuntamento della nostra rubrica è interamente dedicato ad uno dei temi in grado di catturare l’attenzione degli appassionati, da sempre incuriositi dal concetto di soglia aerobica ed anaerobica. Spesso però quest’ultima viene, erroneamente, confusa con la frequenza cardiaca massimale.
In questo articolo vedremo di fare chiarezza sull’argomento.

 

Analizzare il ruolo della soglia, in particolare di quella anaerobica, significa affrontare uno degli argomenti più interessanti e maggiormente studiati nel corso degli anni da moltissimi ricercatori, fisiologi e allenatori, e che ancora oggi è tema di dibattito tra teorie diverse: personalmente direi che il concetto di soglia anaerobica si basa sugli studi del passato, ma è in continua evoluzione grazie alle esperienze acquisite ed all’evoluzione dello studio della performance sportiva.
Prima di addentrarci nei “meandri dell’argomento” facciamo però chiarezza sin da subito: la soglia anaerobica non è assolutamente la frequenza cardiaca massima e non si tratta pertanto di un limite invalicabile! Scopriremo infatti persino come il passaggio dalla soglia aerobica a quella anaerobica non sia e non debba essere visto come una linea di demarcazione tracciata di netto, ma per apprendere tutto ciò non ci si può esimere dal fare chiarezza, a partire dal dare una definizione dell’argomento.
Dalla fisiologia sappiamo infatti che:

- la Soglia Aerobica (SaE o AT-aerobic threshold) corrisponde al punto d’intensità in cui si assiste all’aumento della produzione di lattato rispetto ai valori basali.
Secondo gli studi di Mader si localizzerebbe a 2 mmol/L di concentrazione (leggere in seguito per approfondire).
- la Soglia Anaerobica (SaN o LT-lactate threshold) corrisponde al punto d’intensità in cui si ha la massima concentrazione di lattato, tale che possa essere ancora smaltito dal sangue, trovandosi così in una situazione di equilibrio tra produzione e rimozione. Sempre secondo Mader essa si localizzerebbe a 4 mmol/L di concentrazione.
Al di sopra di questa soglia la velocità di produzione di lattato supera quella di smaltimento, pertanto si innesca il meccanismo anaerobico lattacido, mediante la glicolisi anaerobica, con conseguente marcato aumento della “fatica”.

Fig.1 – Rappresentazione grafica della soglia aerobica ed anaerobica in relazione alla concentrazione di lattato, secondo la definizione di Mader.

Volutamente, da figura, il passaggio da una soglia all’altra è rappresentato in maniera sfumata, come a consolidare il concetto di correlazione, o meglio di compartecipazione, proprio come avviene tra i fondamentali meccanismi energetici, il cui scopo è quello di produrre energia.
Senza entrare eccessivamente nello specifico, non ci si può esimere dal descrivere le tre diverse tipologie di produzione energetica avente il fine ultimo di risintetizzare ATP (adenosintrifosfato):
AEROBICOANAEROBICO LATTACIDOANAEROBICO ALATTACIDO

  • Meccanismo aerobico (Sistema ossidativo)
    Avviene in presenza di ossigeno (O2) e, riassumendo al massimo (non me ne vogliate), la molecola di ossigeno scinde la sostanza nutritiva (carboidrati o lipidi o proteine) producendo ATP, H2O (acqua) e CO2 (anidride carbonica).
    L’utilizzo di uno o di un altro combustibile varia a seconda della durata e dell’intensità dell’esercizio svolto, laddove all’aumentare della durata e ad intensità moderate saranno utilizzati principalmente i lipidi (grassi), salvo aumentare la combustione dei carboidrati all’aumentare dell’intensità. Quando le scorte di zuccheri saranno terminate e la richiesta energetica risulterà molto elevata, allora verranno utilizzate le proteine.

  • Meccanismo anaerobico lattacido (Glicolisi anaerobica)
    Non necessita di ossigeno e la produzione di energia avviene mediante la glicolisi.
    Il meccanismo anaerobico lattacido si innesca utilizzando le scorte di carboidrati presenti sotto forma di glicogeno muscolare, epatico e del glucosio nel sangue.
    Gli enzimi glicolitici agiscono sulla scissione di glicogeno o glucosio trasformandoli in acido piruvico, il cui destino è poi legato alla presenza di ossigeno (con produzione di AcetilCoA) o meno (lattato).
    Molto sollecitato in prestazioni di 45 s. – 2 minuti (Harre).

  • Meccanismo anaerobico alattacido (ATP-PCr)
    Il cosiddetto ATP-PCr. Le cellule oltre ad ATP contengono anche fosfocreatina, molecola altamente energetica, la cui scissione serve per ricostruire ATP e quindi mantenere costanti le riserve energetiche.
    E’ questo però il sistema meno duraturo in quanto l’esaurimento avviene rapidamente, è infatti il meccanismo che interviene negli sprint brevi, da 3 a 15 secondi (Harre).

  • CORRELAZIONE TRA I DIVERSI MECCANISMI ENERGETICI:
    Ritornando sul concetto di compartecipazione tra sistemi, accennato poco fa, va da sé che i sistemi non agiscano in maniera indipendente tra loro, ed infatti la figura di qui sotto può rendere certamente meglio l’idea.

 

Fig.2 - Interazione sistemi energetici nel corso di un esercizio ad intensità massimale e durata crescente.
(Fig. 4.9 pag.148 – Fisiologia esercizio fisico e sport, J.Wilmore, D.Costill)

Il breve excursus riguardante i meccanismi energetici, dando di essi solo una panoramica generale, senza entrare nello specifico a livello fisiologico è, a mio parere, fondamentale per capire due concetti utili poi a comprendere meglio il ruolo della soglia:
- conoscere ed assimilare le differenze tra il lavoro aerobico e quello anaerobico
- percepire la soglia anaerobica come quel momento in cui il meccanismo (metabolismo) energetico da aerobico si trasforma in anaerobico, almeno parzialmente.

Ma quel “momento” è davvero a 4 mmol/L di concentrazione di lattato?
Il valore di soglia può realmente essere così standardizzato?
Ebbene, la risposta è no, o più precisamente la risposta è che la concentrazione di 4 mmol /L è il risultato di una media, ma essa può variare da soggetto a soggetto, quindi rappresenta una standardizzazione. A seconda del protocollo valutativo utilizzato inoltre, questo valore si avvicina in maniera più o meno precisa, infatti sempre ritornando ai concetti del tedesco Mader, egli raccomandava, al fine di ottenere risultati soddisfacenti, di analizzare la concentrazione di lattato ad intervalli non inferiori ai 4 minuti, meglio se compresi tra i 5 e i 10 (anche superiori), facendo fede alla stabilizzazione del lattato in quell’intervallo temporale.
Pertanto protocolli valutativi con analisi del lattato ogni 2’ sono, a parer mio, suffragato anche da diversi studi, poco attendibili.
Nel corso degli anni i concetti di Mader sono stati rivisti, in parte, su tutti dai tedeschi Stegmann e Kindermann che, nel 1982, parlarono per la prima volta di massimo lattato in steady state (MLSS), ovvero la massima intensità alla quale esiste un equilibrio tra il lattato prodotto dai muscoli ed il lattato smaltito dal sangue.
Questo concetto ha assunto grandissima importanza in ambito fisiologico e di valutazione, ma il suo grosso limite avviene in ambito pratico-applicativo, infatti occorrerebbe sottoporre un’atleta a molte prove, su giorni diversi, ad intensità variabili costanti, di durata 20-30 minuti.
Va da sé che per un atleta di alto livello tale protocollo sia sostenibile, mentre per un atleta non professionista che volesse valutare la propria performance con frequenza ridotta questo sia quasi inutilizzabile per via delle lunghe tempistiche.
Stegmann e Kindermann sono partiti dal presupposto che lo standard 4 mmol/L non fosse completamente corretto, e ciò è certamente vero, in quanto tale range di concentrazione di lattato soggettivo può essere inferiore o superiore rispetto al valore standard; ma è altrettanto vero che, pur riconoscendone certi limiti, questo indice numerico è il risultato di numerose rilevazioni campione e che è comunque un parametro che possa essere confrontato tra test dello stesso soggetto, con medesimo protocollo, in periodi differenti.

L’evoluzione scientifica ha portato nel corso degli anni al susseguirsi di decine di teorie sulla SAN, come ad esempio l’OBLA (onset of blood accumulation) ricavato dagli studi di Sjodin, Karlsson, Jacobs e poi Bentley; non giungendo però ancora ad una definizione definitiva ed inequivocabile, tant’è che gli studiosi Leger, Tomkakidis (1988) e Peronnet (1995), dopo aver valutato oltre trenta protocolli sia invasivi che non invasivi e ricavato soglie anaerobiche diverse fra loro giunsero a questa conclusione:
“Indubbiamente, se per scovare la soglia anaerobica sono stati profusi sforzi e tesori d’immaginazione, può essere che non essere riusciti a trovarla sia anche da considerare come una prova che forse non esiste”.
Un vero paradosso, ma che forse non si discosta nemmeno molto dalla realtà…

Il mio pensiero è che standardizzare un concetto che dovrebbe essere invece individualizzato non sia mai l’operazione migliore, ma poiché nemmeno la scienza sia giunta ad una conclusione netta ed insindacabile, ad oggi per la valutazione di un atleta il Test di Mader sia, seppure con i suoi grandi limiti, tra i più vicini alla realtà, ma occorra conoscerne pregi e difetti ed interpretare i dati ricavati. Indubbiamente il MLSS risulterebbe più preciso e soggettivo (comunque non esente da errori), ma rappresenta ad oggi un “test da laboratorio” ristretto ad un numero esiguo di persone, pertanto poco applicabile.
Lo studio della performance moderna sta andando però ora nella direzione del ricavare la soglia anaerobica da prestazioni su intensità massimali di durata 40/60’, iniziando a lavorare anche nella corsa di lunga durata in maniera similare a quanto sta accadendo nel ciclismo, con l’utilizzo dei misuratori di potenza e la relativa potenza di soglia funzionale proprio sui 60’.
In particolare la “scuola americana” con i suoi studi in ambito ciclistico prima e di triathlon poi, si sta facendo largo nella “nuova metodologia”:

Fig.3 – Rapporto tra intensità esercizio e volume analizzando le diverse zone di allenamento. Dove L4 coincide con la potenza di soglia funzionale. E’ un grafico specifico per il ciclismo ma molto utile per capire il comportamento fisiologico in soglia.
( graphic by Hunter Allen)

Come accennato in figura 3, il grafico è la rappresentazione di range tipici del ciclismo, ma mi interessa riportarvelo, anche se stiamo parlando di corsa, per farvi comprendere come funzioni la “nostra macchina” al variare dello stimolo allenante ed in particolare, perché il lavoro in soglia rappresenti un mezzo fondamentale per migliorare la propria prestazione.
Da figura infatti si nota come la linea del Training Effect sia massima in quel punto, salvo decadere poi, essa rimane buona fino al passaggio da zona 5 a zona 6 (zone di massimo consumo ossigeno e lattacide).
Questo significa che anche in ambito di discipline di resistenza, l’allenamento della soglia anaerobica sia di fondamentale importanza per migliorare la propria velocità di corsa.

Quindi…come ricavare la soglia? Come, quanto e quando allenarla?!?
Presto lo scopriremo…

IL “MITO DELLA SOGLIA”:
Mi rendo conto che concludere la prima parte di questo argomento diventi ora, dopo avervi inculcato tutti questi dubbi risulti piuttosto complicato, ma ritenevo corretto osservare meglio cosa ci fosse a questo “mito” chiamato soglia e lasciarvi con il beneficio del dubbio, almeno per due settimane, in attesa della seconda parte di questo interessantissimo argomento.
Nel prossimo articolo entreremo nello specifico di ciò che oggi abbiamo osservato in linea generale, analizzando i diversi test di valutazione funzionale ed il ruolo della frequenza cardiaca e/o del passo al kilometro una volta conosciuto il ritmo in soglia.

Se siete curiosi, l’appuntamento è tra due settimane, sempre qui su InfinityRun.it


Grazie dell’attenzione



Davide Zecchi
Dott. in Scienze Motorie

www.zetatraining.it